Deportati a casa propria

È come quando pensi alle malattie, alla povertà, alle cose brutte: le vedi con distacco, finché non ti capitano, finché non ti colpiscono direttamente. Devi per forza guardarle con distacco, per esorcizzarle e per non morire d’ansia.

Tutti i giorni questo paese ci offre un indecente spettacolo di corruzione e furfanterie, perpretrate a qualsiasi livello, senza vergogna e senza limiti: finanziamenti pubblici ai partiti che vengono usati per costruire ville o pagare prostitute, ciechi che ci vedono benissimo, appalti assegnati grazie a mazzette.
E tutti i giorni mi viene da vomitare, e di pensare che in quanto a criminalità istituzionalizzata siamo ormai ai livelli della Russia.
E tutti i giorni chiudo il giornale con il cuore gonfio di rabbia, un senso di impotenza e la voglia di non sentire più niente. Leggo queste notizie con il distacco di cui parlavo prima.

Eppure questa storia dell’ATAC mi ha colpito più delle altre. Forse perché è proprio di Roma. Forse perché è proprio di un servizio che tutti i romani, me compreso, usano.

Mentre leggevo di come l’ATAC ha organizzato una truffa per finanziare i politici, non potevo fare a meno di provare un senso di violazione in prima persona, come quando ti rubano la macchina.
Ho pensato a tutte le volte che ho comprato un biglietto: quanti dei miei soldi saranno andati direttamente in mano a qualche laido politico senza passare dal via, mentre io, dopo aver timbrato il pezzo di carta, mi incollavo il passeggino per scendere le scale, che spesso non sono neanche mobili?
Ho pensato al montascale della stazione di Anagnina, tardiva espressione di civilità e sensibilità verso gli handicappati, che da un anno ha un cartello appiccicato sopra, con una scritta con il pennarello: “In attesa di collaudo”.
Ho pensato alle persone schiacciate come sardine, costrette a usufruire di un servizio di qualità scadente, in una capitale europea.
Ho pensato a tutta la pioggia presa da tutte le persone in attesa di un autobus che non arriva mai, e quando arriva è stracolmo; alle liti che sono costrette a intraprendere per poter salire, perché non possono arrivare ancora più tardi.
Ho pensato ai turisti che scendono a Ottaviano per andare a San Pietro, con le valige enormi, e con un senso di smarrimento cercano un ascensore o delle scale mobili, e alla vergogna che provo a dirgli che, no, non ci sono scale mobili nella fermata della metropolitana a cui bisogna scendere per andare nella chiesa più importante del Mondo.
Ho pensato agli autisti costretti a lavorare sugli autobus senza l’aria condizionata, e a quelli che riparano i guasti da soli con pezzi di ricambio di fortuna, per portare a termine la corsa.

Ho pensato che, poco più di un anno fa, l’ATAC ha aumentato il biglietto del 50%.
Da 1 euro a 1,50 euro.

I meccanismi di falsificazione dei biglietti andavano a gonfie vele, uscivano fuori un sacco di soldi, ma probabilmente non erano sufficienti per placare l’avidità, e poi c’era da pagare gli appalti che venivano assegnati senza gara, e con valori 5 o 6 superiori ai prezzi di mercato.
E allora, aumentare il prezzo dei biglietti.
E, senza il minimo pudore, anche un’idiota campagna di sensibilizzazione contro chi non paga il biglietto, interpretata dai Cesaroni, perché all’ATAC pensano che se non gliele dicono quattro cazzari in romano, i romani le cose non le capiscono.
All’epoca mi aveva solo fatto incazzare che buttassero soldi per dire “Pagate il biglietto” invece che per collaudare quel benedetto montascale, ma adesso sono veramente senza parole al pensiero che quello fosse un messaggio del tipo “E comprate ‘sti biglietti che mi devo fare la villa”.

Sono anni che mi chiedo per quale motivo non fanno come a Londra, in cui esiste una tessera prepagata in cui carichi un tot di biglietti, e la usi a scalare, come si fa con l’abbonamento a Roma, ma per singoli viaggi. Niente spreco di carta, niente sbattimento con le monetine e le macchinette.
Davvero non riuscivo a capacitarmene. L’altro ieri dicevo a Serena che lo avevo finalmente scoperto, e che il motivo era che i controllori non avevano le macchinette per controllare neanche gli abbonamenti annuali (!)
Ma non era quello il motivo. Adesso è chiaro quale fosse.

In tutti i paesi esistono la corruzione, la disonestà, la furberia. Tutti. In tutti i paesi i politici e la classe dirigente fanno i loro interessi, mentre si occupano della cosa pubblica.
Ma qui, a Roma, in Italia, c’è un totale disinteresse verso la società: la corruzione e la disonestà non sono diventati accessori della carica pubblica, ma l’unico fine.

La nostra dignità viene talmente calpestata che non meritiamo neanche che un senatore condannato in cassazione si dimetta da solo, o che lo faccia un ministro della Giustizia che ha fatto telefonate per aiutare un carcerato.

Nessuna vergona, nessun pudore: un disprezzo della fatica e dei sacrifici delle persone, della vita e della dignità umana, che mi sento di accomunare a quella dei nazisti. Che differenza c’è tra mandare a morire le persone in una camera a gas, o lasciarle vivere quel tanto che basta per poterle sfruttare?

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